Annamaria

“Il naufragio dell’Annamaria è entrato nella storia non solo di Albenga, di Milano e delle altre città tristemente coinvolte, ma di tutta la Nazione. A distanza di 70 anni il ricordo di quella tragedia continua a toccare profondamente la mente e il cuore di quanti ne rivivono la cronaca dei fatti ed è auspicabile che questa memoria non vada persa, ma che anzi sia tramandata con forza. Infatti lo slancio solidale della Croce Bianca e di tutta la Comunità albenganese fu assolutamente straordinario e deve restare memore esempio alle generazioni future di generosità e solidarietà umana. Questa giornata commemorativa ha proprio lo scopo di non dimenticare e di tramandare il bene oltre la tragedia”

Dino Ardoino, Presidente – In occasione della commemorazione dei 70 anni.

L’affondamento della motobarca Annamaria

A Loano si trova une delle colonie climatiche marittime del Fondo di Solidarietà Nazionale, istituite a favore dei bimbi dei reduci e dei partigiani. La direzione della colonia, che ospita in prevalenza fanciulli milanesi, aveva organizzato per il giorno 16 Luglio 1947 una gita turistica e istruttiva all’Isola della Gallinara, quasi di fronte ad Albenga, riservata alle sole femmine al mattino. I maschietti, un’ottantina, nello stesso pomeriggio. La spiaggia albenganese, sotto la scarpata ferroviaria, è tutta lì; qualche sasso e piccoli moli protesi nel mare; non ci sono case, non ci sono cabine. Alle spalle della ferrovia solo canneti. Fra le canne, un sentiero polveroso percorre il lungomare; le “passeggiate” devono ancora arrivare. Per andare a fare il bagno si passa attraverso i tunnel che perforano la massicciata ferroviaria. Ormai è tardi, i rari bagnanti sono già andati via, sulla riva rimangono poche persone: alcuni pescatori e contadini e un pugno di ragazzi che non amano andare agli stabilimenti, piccolo vezzo da snob, o più semplicemente genitori che non gli mettono in testa certi grilli come quello di andare alla spiaggia a pagamento. Regione Burrone: sono passate da un po’ le sei del pomeriggio.

Ecco il resoconto di quei tragici momenti dalla voce dei testimoni oculari e degli stessi salvatori.

Sul lembo di spiaggia si trovano Giorgio Gandolfo ed Ettore Bronda, entrambi quattordicenni, Luigi Carbone e Domenico Enrico, 17 anni. Ci sono anche alcune donne e ragazze. Scherzano, raccontano storie di gioventù, sogni di studenti con grandi progetti e solidi ideali. Arriva in lontananza un borbottio di motore, l’eco ritmato di vocine festose prima piano, poi sempre più forte. Sono i bimbi della colonia di Loano, che vanno in gita all’Isola Gallinara, la stessa barca era già passata in mattinata con un carico di bambine, ora tocca ai maschietti. CANTANO….. Sul barcone un nome: “Annamaria”. L’alto albero forma una specie di croce; un “gran pavese” collegato a poppa e a prua da una fila di allegre bandierine colorate. I bimbi sono tanti, tantissimi, troppi, “stipati come acciughe”, ricordano i testimoni. Soffia una brezza fresca. La barca, carica, stenta ad emergere dal pelo dell’acqua. Si ha l’impressione che ad ogni ondata un po’ d’acqua entri all’interno, tanto poco è il bordo che emerge. “Stanno andando all’Isola Gallinara, sono i bimbi delle colonie, salutiamoli!” è lo slancio entusiasta di adolescenti gioiosi. Ecco, da riva i giovanetti fanno ciao con la mano, forse qualcuno dei piccoli ha appena il tempo di rispondere… La barca ha un sobbalzo, un accenno di impennata, poi ricade pesantemente su se stessa. Uno squarcio, i primi bambini cominciano a gettarsi, o a cadere in mare. Dal canto festoso si è passati in un baleno alle grida agghiaccianti. La barca ha urtato contro un palo di ferro a pelo d’acqua, tagliente come un rasoio; il peso dei bimbi la fa affondare rapidamente. D’istinto dalla riva si fa cenno di nuotare. Inutile. Il terrore ha ormai invaso le piccole menti, l’acqua è agitata sì, ma da moti convulsi di braccia che si aggrappano a tutto quello che trovano, sia una parte della barca, sia un altro essere umano. E COSÌ CERCANDO LA VITA, MOLTI TROVARONO LA MORTE. Video dei funerali a Milano.

I ragazzi che erano a riva intanto si sono già tuffati. Altri giovani sopraggiungono dalla vicinanze attratti dalle grida. Bisognava cercare di salvarne il più possibile. L’impresa si rivela assai ardua: i piccoli spaventati e semi annegati, si avvinghiano al collo dei loro salvatori, a cinque, a sei per volta ma a ciascuno di essi è possibile portarne a riva non più di uno per volta. Poi bisognava riprendere le forze prima di rituffarsi, altrimenti si muore asfissiati dopo poche bracciate. I giovani albenganesi fanno la spola a nuoto tra la barca, che dista un centinaio di metri, e la riva. Lì le donne attendono, prendendo loro dalle braccia i bimbi ed effettuano i primi soccorsi.

La testimonianza di Gianni Tarnoldi, sopravvissuto alla sciagura.

“Non è vero che l’acqua non era profonda” dice Giorgio Gandolfo. “Ricordo bene che nuotavamo attorno al relitto e ci immergevamo per recuperare i bimbi dal fondo e portarli a fior d’acqua per permettere loro di respirare. Ebbene, noi quattordicenni, già alti per la nostra età, sentivamo sotto i piedi il bordo dell’imbarcazione ormai affondata, e avevamo il livello dell’acqua ben sopra la testa. Se dunque non toccavamo noi, figuriamoci i bimbi di 5, 6 o 7 anni”. Un ricordo più netto degli altri: “Erano là, ritti, vicini vicini, tutti stipati sul barcone solo un momento prima; tanti berrettini bianchi che cantavano felici, e ora, sott’acqua, aprivo gli occhi e vedevo quegli stessi berrettini bianchi, a grappoli, adagiati, che punteggiavano il fondale marino, avvinti l’uno all’altro, oppure alle vesti della loro assistente, in un ultimo disperato tentativo di salvezza… Non dimenticherò più”.

Sistematicamente fu effettuata la respirazione artificiale sui bimbi, operazione che doveva durare almeno tre ore e mezza prima di dichiarare persa la battaglia. Per alcuni furono necessarie sei ore di questa complessa tecnica a mano…. Alle sette di sera in mare non c’era più nessuno. Erano stati tutti recuperati. Iniziava l’opera di assistenza ai vivi e il pietoso rito di composizione dei morti: 43 bambini e 3 accompagnatrici. Alle dieci di sera tutti i 43 piccolissimi uomini erano composti sui cavalletti in Croce Bianca allineati su un unico pancone e a destra quelle tre donne, unite al loro bizzarro destino, distese su un pancone separato, quali fossero delle intruse. Bisognava vedere come si assomigliavano le 43 faccine, non impaurite, non doloranti, ma dolcemente attonite e, in un certo modo, rassegnate. Fra le mani ciascuno teneva con delicatezza un’immagine sacra e un fiore, le palpebre attaccate appena appena. Senza nessuna retorica erano tutti belli ed estremamente gentili… Quarantatre bambole con dentro chiuso il vasto mistero della morte….

…E dopo tanti anni è ancora vivo nella mente il ricordo di quel tragico evento.. Il corteo con tante piccole bare che percorreva le vie cittadine, composto da familiari e tanta gente di Albenga, profondamente partecipe al dolore..

Di quella gente la Croce Bianca di Albenga fu l’espressione più significativa. Soci e Militi prestarono soccorso alle povere vittime, trasportarono i piccoli corpicini nella camera ardente allestita nella sede dell’Associazione, le vestirono e le composero in attesa dei familiari, cercando di offrire loro il miglior aiuto possibile, unitamente ai cittadini albenganesi.

A 70 anni e più dal naufragio, la nostra Associazione, alla data della ricorrenza del tragico evento, depone un mazzo di fiori al cippo che fu eretto di fronte all’area marina ove avvenne il naufragio…

Purtroppo tempo addietro tale cippo commemorativo è stato deturpato irrimediabilmente a causa di inqualificabili atti vandalici. A seguito di ciò il 13 maggio 2012, in occasione della Festa della mamma, anche grazie alla generosità di benefattori locali, alla sensibilità del Comune di Albenga ed al contributo delle altre Associazioni cittadine, è stato inaugurato un nuovo monumento.

Esso resterà quale futuro ricordo di una pagina importante nella storia dell’Italia del primo dopoguerra e del grande e spontaneo abbraccio solidale tra gli Albenganesi e i famigliari dei giovani deceduti.